Julián
Il mio primo giorno all’ospizio, Elfe non si fece più vedere fino a sera. Andai a cena di malavoglia, solo per poter prendere le pillole, per non deprimermi appena arrivato e per vedere se riuscivo a incontrarla.
Guardando gli ulivi dalla finestra pensai senza volerlo al bar di Dianium in cui mangiavo sempre e alla sgangherata suite del Costa Azul. Pensai a Sandra e all’Anguilla. Era tutto così vicino e al tempo stesso così lontano. Quando avevo deciso di andare in ospizio sapevo che era un posto per rimuginare sul passato, perché quando il corpo non ha più niente da dare non restano che il potere della mente e l’immaginazione per rivederci nei momenti migliori della nostra vita.
Pensavo a questo finché non vidi entrare Elfe in mensa con un’aria da pazza, anche se più composta della volta che l’avevo vista a casa sua, sfinita dopo aver vomitato l’anima. Avrebbe potuto dire qualunque cosa e nessuno l’avrebbe presa sul serio.
Le feci un cenno perché si sedesse con l’uomo grosso e con me. Iniziavamo a formare un gruppo.
Si sedette ma non mi riconobbe. E come avrebbe potuto? Quella donna era riuscita a vivere come un fantasma.
«Elfe ha dei quadri in camera sua che valgono milioni di euro, vero Elfe?» disse l’uomo strizzandomi un occhio.
«Un Picasso», fece lei, «un Degas e un Matisse, credo.»
Rimase a fissare il soffitto cercando di ricordare e l’uomo scosse la testa in segno di pietà.
«Sembra che veniamo tutti da una vita migliore», disse, senza sospettare affatto quanto era probabile che i quadri di Elfe fossero autentici.
Poi lei chiese con un’insicurezza dolorosamente infantile: «Sapete dov’è il mio cane?».
L’uomo mi lanciò uno sguardo che voleva dire: “È completamente suonata”, senza immaginare che io conoscevo la risposta a quella domanda. Il suo cane era a casa di Frida.
Quando finimmo mi offrii di accompagnarla in camera sua. Aprendo la porta vidi i quadri appesi alle pareti: erano tanto autentici che sembravano falsi.
«Vuoi un bicchiere?» chiese infilando la mano nell’armadio come in un nido di vipere.
Me ne andai e chiusi la porta. “Dovresti vedere cosa sta succedendo, Salva, non ci crederesti.”
Nemmeno io avrei creduto che di lì a pochi giorni un uomo alto, curvo, goffo sarebbe sceso da un taxi trascinando due valigie con le rotelle. Ci misi un po’ a riconoscere Heim nel piccolo giardino della residenza. E dovetti fare uno sforzo perché l’immagine di lui che parlava con Pilar diventasse reale.
E così aveva dovuto abbandonare la Stella, la sua amata barca.
Non c’era dubbio che doveva essergli dispiaciuto, ma evidentemente lo avevano convinto che di fronte alla sua allarmante perdita di facoltà mentali non poteva far altro che rinchiudersi se voleva sopravvivere. E lui evidentemente aveva anteposto la sopravvivenza a tutto il resto. Nel profondo del suo cuore doveva essere convinto che, appartenendo a una razza superiore, gli restassero ancora molti anni davanti e dovesse fare qualcosa per frenare la sua demenza. Sapeva che anche Elfe era lì? Come avrebbe reagito lei quando lo avrebbe visto?
Sembrava non finire mai: quando io non andavo da loro, loro venivano da me, rivivevano per me. Doveva esserci una ragione. Sapevo che erano nelle mie mani e che lo spirito di Salva mi guidava.
Quando alla fine Pilar concluse la solita procedura di portare Heim in camera sua e mostrargli le strutture, spiegandogli gli orari, chiedendogli se era diabetico per il menu dei pasti e blaterando su altri argomenti con i quali aveva stordito anche me, andai a parlare con lei.
«Un nuovo cliente.»
«Sì», disse mentre digitava sulla tastiera la scheda di Heim, probabilmente sotto un falso nome che non mi andava di memorizzare. «Vediamo se questo è un tedesco come Dio comanda e arriva puntuale a mangiare. Non come Elfe, che tragedia di donna!»
«Quelli puntuali sono gli inglesi, non i tedeschi.»
«Ma si suppone che i tedeschi siano i più organizzati. Non sai come tiene ordinate le sue valigie quell’uomo.»
Le diedi ragione, quelli che avevo conosciuto io erano molto organizzati.
«Senti, Pilar», le dissi fissandola negli occhi, «non so come tu faccia a sopportare di stare con tanti vecchi. Una donna bella come te dovrebbe andare in giro a farsi guardare.»
Rise, ma non era molto divertita.
«In giro non è tutto oro quello che luccica», rispose.
«Anche questo è vero», ammisi. Poi aggiunsi: «E che ne diresti se un vecchio come me ti proponesse di andare al cinema o di fare un giro per il mondo?».
Sopportai bene la pausa che fece prima di rispondere.
«Direi che non è una cattiva idea. Di sicuro hai molte cose da raccontare.»
«Più di quelle che pensi.»